ADDIO A FIAMMA BRESCHI, AMATA DA MUSSO E DA FERRARI

mutti-cartoonGabriele Mutti

Se ne è andata in punta di piedi, con la classe e l’eleganza che hanno contraddistinto sempre la sua vita. Fiamma Breschi negli Anni 50 fu la donna di un grande pilota italiano, Luigi Musso, morto a Reims il 6 luglio 1958 durante il GP di Francia al volante di una Ferrari. Fiorentina, riservata, bellissima sia in gioventù che in età più avanzata, dopo la morte di Musso fu amata anche dallo stesso Enzo Ferrari, di cui divenne “consigliera” per molti anni.

“Lui mi ha chiesto molte volte di sposarlo – raccontò molti anni dopo la morte del “Drake” a un giornalista de “La Nazione” di Firenze – praticamente fino a quando morì. Aveva programmato tutto, persino gli assegni, ma io gli ho sempre detto di no, anche se in quell’Italia provinciale e bigotta mi indicavano come la sua amante. Non era vero: lui mi ha sicuramente amato, ma io ho avuto un solo amore nella mia vita: Luigi Musso, lui è sempre nel mio cuore”.

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Enzo Ferrari e Fiamma Breschi.

Con Ferrari Fiamma Breschi ammise di avere avuto “un rapporto a dir poco meraviglioso”. Unica e rara testimone della storia di una delle scuderie automobilistiche più famose del mondo, la Ferrari, appunto: simbolo stesso dell’Italia. Fu ricercata da scrittori, giornalisti e collezionisti del cavallino rampante di ogni parte del mondo, ma nessuno è mai riuscito a incontrarla negli ultimi anni, a parte come abbiamo detto un giornalista de La Nazione. Ha anche scritto un libro nel 1998: “Il mio Ferrari: memorie di una signora della Formula 1“.

“Ferrari – diceva Fiamma Breschi – è stato un grandissimo amico. Un uomo meraviglioso, intuitivo, con un carattere difficile. Ma non come hanno inventato in tv, in quella fiction che non gli ha reso giustizia. Quando lo incontrai la prima volta ero con Luigi Musso, il mio compagno, un campione che Ferrari amava molto e che morì tragicamente nel circuito di Reims, Francia, nel 1958. Aveva 29 anni Luigi, eravamo tanto giovani. Conobbi Ferrari con lui e mi fece effetto: mi sembrava un contadino. Aveva una palandrana, i pantaloni consunti, alti fino alle ascelle, corti oltre la caviglia, i calzini bassi, un cappellaccio sgangherato in testa. Chiesi a Luigi: “Questo sarebbe Ferrari?”. Ma quella volta nacque una folgorazione tra noi. Diventammo subito amici. Dal primo momento si fidò istintivamente di me.
“Credo di essere sempre stata un po’ avanti coi tempi, una cosa che mi è sempre venuta istintiva è stato proprio il look: amo da sempre l’accostamento di colori e capi d’abbigliamento. Vidi Ferrari e pensai subito che doveva cambiare. Era già un personaggio di grande spessore, e presentarsi così non era giusto. Per lui prima di tutto. Ferrari stette al gioco. Si affidò a me e gli inventai quello che poi è diventato il suo modo di vestire. Per esempio, prima indossava solo cravatte bianche e nere. Io da Firenze gli portavo quelle colorate, di Gucci. E allora cambiò idea anche lui. Disse di sì a colorarsi. A mettersi vestiti chiari, camicie bianche, occhiali neri. Su quello che gli consigliavo, lui annuiva, divertito. Anche se fuori dal nostro rapporto di amicizia so bene come si comportava soprattutto con i piloti della sua Squadra Primavera. Li metteva gli uni contro gli altri perché si stimolassero a vicenda, perché scattasse fra loro la competizione. Per questo lo chiamarono “agitatore di cervelli”. Per Ferrari i piloti in un certo senso erano robot che guidavano le sue macchine. E quando gli dicevo qualcosa sul suo modo di fare ruvido mi zittiva: “Mi ritengo peggiore degli altri, ma non so quanti siano migliori di me”. Lapidario”.
Fiamma Breschi incontrò Luigi Musso in un ristorante a Roma. Lui era già sposato. “Appena ci guardammo sentii dentro che sarebbe stato l’amore della mia vita. Fu uno scandalo a quel tempo, perchè lui lasciò moglie e figlia. Eravamo innamorati persi, non ci importava del mondo. Poi tutto finì all’improvviso a Reims, morì in un incidente nel circuito, durante la gara, inseguendo Fangio che era in testa. Dalla sua morte non c’è un attimo della giornata in cui io non pensi a lui”.
Sul suo rapporto con Ferrari Fiamma Breschi disse: “Non ero la donna segreta di Ferrari. Compagna sì. Ma non in quel senso. Eravamo amici, era qualcosa di grande ma di platonico. Passavamo anche quattro ore al giorno al telefono. Forse è per questo che è durata tanto tempo la nostra relazione. Già dal 1962 mi voleva sposare, questo è vero, come ho detto aveva pianificato anche gli assegni.
“Dopo la morte di Luigi si avvicinò a me con parole buone: volevo morire anch’io, inutile nasconderlo. Mi

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Fiamma Breschi con una Dino.

scriveva di andarlo a trovare, mi diceva di mangiare e tenermi su. Di fare lunghe passeggiate nel verde. Mi incoraggiava a vivere. Ho le sue lettere che lo testimoniano. Dopo la morte di Musso mi volle a Maranello, senza essere l’amante del capo, come pensavano tutti in quell’italietta provinciale. Avevo una mia classe e una mia cultura, forse Ferrari si sarà innamorato anche di questo. Mi volle come donna del paddock: nel senso che andavo per lui a scegliere piloti,  auto, modelli e colori (suo il celebre “giallo fly” piaciuto a moltissimi clienti del “Cavallino”, n.d.r.). Ideai il long nose, il muso lungo per esempio, per certe auto. O quelle bicolori che oggi sono tornate di gran moda. Lui si fidava e io non sbagliavo. Posso dire, prove alla mano, di aver contribuito alla crescita dello stile della casa di Maranello. Prima di Vuitton, inventai nel ’66 un set di valige per la Ferrari 275, di tela stampata”.
Ferrari andò a trovare Fiamma Breschi a Firenze un paio di volte: “Era un’eccezione: tutti sanno che da Maranello non si muoveva. Ma a Firenze veniva a mangiare a casa mia. Nel 1976 fece coniare una coppa a mia madre con il cavallino rampante con scritto: A Clorinda, la cuoca più brava del mondo”.

Addio Fiamma Breschi: che la terra ti sia lieve.
Nella foto nella home page accanto al titolo Fiamma Breschi insieme a Luigi Musso.
(Si ringrazia La Nazione per la collaborazione)

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