TRENT’ANNI FA USCIVA DI SCENA L’ALFASUD

TRENT’ANNI FA USCIVA DI SCENA L’ALFASUD

Pomigliano d’Arco (NA) – Nel 1984 usciva definitivamente di produzione l’Alfasud, un’autovettura prodotta dall’Alfa Romeo dal 1972 al 1984, la prima ad essere assemblata nello stabilimento di Pomigliano d’Arco. Il suo posto sarebbe stato preso nella gamma dalla 33. La versione coupé chiamata Alfasud Sprint e successivamente semplicemente Sprint è stata presentata nel 1976 ed è stata prodotta fino al 1989. L’Alfasud è il modello più venduto nella storia dell’Alfa Romeo con 1.017.387 esemplari prodotti (nella foto una terza serie, l’ultima ad essere stata prodotta).

Verso la fine degli anni Sessanta, l’allora Presidente dell’Alfa Romeo, Giuseppe Luraghi, richiama al Portello (l’ubicazione dell’Alfa Romeo era in via Gattamelata) Rudolf Hruschka (già Hruska). Si trattava, infatti, di costruire un nuovo stabilimento nelle aree adiacenti alla Alfa Avio Costruzioni in provincia di Napoli, così da permettere all’Alfa Romeo la produzione di un nuovo modello, completamente progettato da Hruska. Per Luraghi la produzione della vettura assunse anche un ruolo sociale. L’IRI permise a Luraghi, grazie anche alle oggettive necessità logistiche, di creare, per accedere ai fondi destinati a favorire l’industrializzazione del Sud Italia, un nuovo stabilimento a Pomigliano d’Arco, in provincia di Napoli sui terreni già di proprietà della stessa azienda, per assemblare il nuovo modello ed i suoi derivati.

Nel 1967 iniziò, contemporaneamente, la progettazione dello stabilimento e della nuova vettura, entrambe sotto la responsabilità tecnica dall’ingegnere Rudolf Hruska, uno dei più importanti tecnici della scena internazionale, già “braccio destro” di Ferdinand Porsche e consulente Fiat, Simca, Cisitalia e Abarth. La sagomatura della carrozzeria, invece, venne congiuntamente affidata alla neonata SIRP – poi Italdesign – di Giorgetto Giugiaro e ad Aldo Mantovani.

La gestione dell’operazione, capitanata da Hruska, fu resa completamente autonoma attraverso la creazione, il 17 gennaio del 1968, dell’Industria Napoletana Costruzione Autoveicoli Alfa Romeo (INCA) – Alfasud S.p.A. (con sede a Pomigliano d’Arco) che operava, nel completamento dello stabilimento e nella progettazione del nuovo modello, in maniera formalmente indipendente da quella che verrà definita “Alfanord” di Arese.

L’Alfasud venne presentata in anteprima nel 1971 al salone dell’automobile di Torino, le prime consegne iniziarono a giugno dell’anno successivo. Si trattava di una berlina quattro porte e due volumi con coda che gli americani avrebbero definito fastback (la versione cinque porte con il portellone posteriore arrivò solo al termine della produzione nel 1982), caratterizzata da soluzioni meccaniche “evolute” quali: trazione anteriore, motore 4 cilindri boxer, freni a disco su tutte le ruote (quelli anteriori erano inboard per ridurre le masse non sospese), retrotreno a ponte rigido con parallelogramma di Watt e avantreno MacPherson, semplice ma che permetteva l’economia di scala che la vettura si proponeva. Discreto per l’epoca il Cx di 0,40, ma non eccezionale se paragonato allo 0,30 della concorrente Citroen GS del 1970 o allo 0,34 della Giulia del 1962, vetture, comunque, di un diverso segmento.

Gli interni sarebbero dovuti apparire di impostazione sportiveggiante, ma la qualità dei materiali e l’assemblaggio non furono sempre all’altezza. Alcune finiture apparivano spartane (pavimento in gomma, sedili in sky, plastiche della plancia economiche) ma furono compensate dalla dotazione di buon livello (volante e sedile di guida regolabili in altezza e posizione, moderno impianto di ventilazione). Nei primissimi modelli mancavano tuttavia il contagiri ed il servofreno. Vi era inoltre una pecca che fu giudicata grave da molti: le cerniere del portello del bagagliaio posteriore erano “a vista” e quindi ne pregiudicavano non poco l’estetica, e solo con la presentazione della terza serie, diversi anni dopo, furono ricoperte mediante l’applicazione di una bandella in plastica. L’Alfasud portò al debutto il nuovo motore boxer Alfa Romeo (soluzione che permise a Giugiaro di disegnare un frontale molto basso e sfuggente) raffreddato ad acqua di 1186 cm³. Il propulsore forniva discrete prestazioni, sicuramente superiori a quelle di autovetture di pari categoria, (si trattava, pur sempre, di 63 CV a 6000 giri), era pronto e disponibile nel salire di giri e, abbinato ad un cambio manuale a 4 marce, consentiva alla nuova Alfa Romeo di toccare i 153 km/h, velocità di tutto rispetto per un’autovettura che voleva inserirsi nel segmento medio-basso.

La commercializzazione della berlina a 4 porte iniziò nel 1972 ad un prezzo di 1.420.000 lire. Il successo fu buono, soprattutto per il comportamento stradale; unanimi i consensi da tutte le riviste di settore, sia italiane che estere, per la guidabilità complessiva, la tenuta di strada, la visibilità e lo spazio interno. Hruska, che era molto alto, aveva richiesto ai progettisti che l’abitacolo fosse così spazioso che, con una persona della sua altezza alla guida, un passeggero della stessa taglia stesse comodo sul sedile posteriore. Alcune fonti parlano di grossi problemi qualitativi che avrebbero rallentato la diffusione: si tratta di problemi cronici che, anche a causa degli enormi problemi sindacali, non permisero di raggiungere il previsto standard sul prodotto finito, le enormi richieste, però, imposero di avviare la vettura ai concessionari anche se non rispettava le previsioni di qualità. In alcuni casi la carrozzeria presentava, dopo pochissimo tempo, tracce di ruggine che aggredivano alcuni settori della carrozzeria trai quali: i parafanghi anteriori, gli archi interni delle ruote, i montanti intorno al parabrezza e lunotto, formandosi persino sui pannelli centrali. Gli acquirenti della prima ora non perdonarono, oltre ai problemi di cui abbiamo già parlato, l’assenza di servofreno (aggiunto solo nel 1973) e del contagiri, anche in considerazione del prezzo. Mentre alla base rimase la versione 1200 da 63 CV con cambio a 4 marce (ora denominata Alfasud N), nel 1974 arriva la Alfasud L, con allestimento più ricco (sedili in panno, pavimento in moquette, poggiatesta anteriori, rostri ai paraurti, profili cromati ai finestrini, finiture più curate) e motore migliorato nell’erogazione di coppia (9 kgm a 3200 giri anziché 8,5 a 3500) che propose nuove finiture e dotazioni. Dal 1975 la L adottò il cambio a 5 marce, cambiando nome in Alfasud 5m, oltre che ad un migliore trattamento della lamiera del veicolo denominato “zincrometal” che consentì sulle successive versioni di limitare i problemi di ruggine che le prime versioni del modello presentavano.

 

Nel 1973 arrivò la versione Alfasud Ti a 2 porte, con allestimento sportivo. L’interno era più curato grazie ai nuovi sedili sportivi con fascia centrale in tessuto e fianchetti in sky, ai poggiatesta anteriori, al volante a tre razze, alla moquette sul pavimento ed alla dotazione che comprendeva finalmente il contagiri, il manometro dell’olio e il termometro dell’acqua. Dal punto di vista tecnico si segnalavano il motore potenziato a 68 CV (grazie ai nuovi alberi a camme e al carburatore doppio corpo), il cambio a 5 marce ed il servofreno. Nel 1976 la cilindrata del motore aumentò a 1286 cm³ e la potenza passò a 75 CV.

Nel 1977 alcuni piccoli ritocchi (nuovi paraurti con fascia in gomma, mascherina rivista, griglie di sfogo nere) permisero alla casa madre di proporre una “nuova serie” . Oltre alla solita Alfasud N, la Alfasud 5m viene sostituita dalle Alfasud Super, con finiture più curate, cambio a 5 marce e motore 1200 da 63 CV o 1300 da 68 CV. Queste modifiche, unitamente alla nuova gamma, danno luogo a quella che viene comunemente chiamata complessivamente la “seconda serie”; da notare, pero’, che – complice la complessiva continuità di questi modelli di Alfasud con quelli precedenti – alcune fonti ancora negano l’esistenza di una vera e propria “serie” 1977-1980, identificando una nuova “seconda serie” solo in coincidenza col lancio della versione dell’80[2].

La “Giardinetta” fu ritoccata nel 1977 come la berlina, adottò il motore di 1286 cm³ da 68 CV abbinato al cambio a 5 marce. Anche la versione a 2 porte Ti, venne aggiornata (nuovi paraurti con fascia in gomma, nuovo alettone posteriori, nuovi codolini passaruota neri, nuovi rivestimenti interni).

Invariato il motore 1300 da 76 CV. Nel 1978 la cilindrata del 1300 passò, per tutte le versioni, da 1286 a 1351 cm³ e la potenza crebbe a 71 CV. Contemporaneamente, sulle Ti, il boxer 1300 venne affiancato da una versione di cubatura maggiorata a 1490 cm³ da 84 CV.

Nel 1980 venne effettuato un vero e proprio cambio di serie ristilizzando in maniera più profonda la vettura: cambiò il frontale (mascherina e gruppi ottici), la posizione delle frecce, la coda (nuovo cofano bagagli, luci più estese), i paraurti (in plastica nera), cornici e gocciolatoi (neri) e gli interni (completamente nuovi). Alcuni lamierati esterni furono profondamente rivisti nel disegno. La gamma comprendeva la 1.2 a 4 marce, la 1.2 a 5 marce, la 1.3 con motore da 79 cavalli e la 1.5 con motore da 84 cavalli. La base 1.2 4 marce era riconoscibile per i paraurti più sottili, l’assenza di bande protettive laterali e la dotazione ridotta all’osso. Non venne più riproposta la poco gradita Giardinetta.

Nel 1982 arrivò finalmente il portellone posteriore per le versioni 5 porte SC. Questa modifica meriterebbe un capitolo a parte poiché la spesa per modificare i macchinari di produzione non fu mai “ammortizzata”; addirittura la vettura prodotta con il portellone si rivelò inferiore, come resistenza torsionale, alla berlina 4 porte. Alla base rimase la S a 4 porte, mentre il top di gamma era rappresentato dalla 1.5 5porte Quadrifoglio Oro, con motore 1500 bicarburatore da 95 CV e finiture curate (interno in velluto, volante in legno, mascherina argento metallizzato). Nel 1980 anche le Ti vennero aggiornate, sulle tracce della berlina 4 porte. Potenziati (grazie all’alimentazione bicarburatore) i motori di 1351 cm³ (86 CV) e 1490 cm³ (95 CV).

Nel 1981 le Ti abbandonarono la configurazione a 2 porte per adottare quella a 3 porte, grazie al portellone posteriore. Furono le prime Alfasud ad adottarlo. La nuova carrozzeria 3 porte venne offerta anche in allestimento base. Nello stesso anno arrivò la versione 4p Valentino firmata, con colorazione bordeaux metallizzata e nera, cerchi color oro, interni in velluto nero, volante in legno. Il motore era il 1200 da 68 CV. Nel 1982 la 1.5 Ti, lasciò il posto alla più potente (105 CV) 1.5 Ti Quadrifoglio Verde, riconoscibile per i cerchi in lega, le bandelle sottoporta e i sedili più sportivi. Inoltre entrò in listino la versione, la 4p Junior, con una dotazione di serie essenziale e solo con motore 1.2 da 68 CV e cambio a 5 marce.

Mentre nel 1982, in previsione della fine dell’Alfasud  come modello e del lancio di nuovi modelli assemblati a Pomigliano, l’Alfasud S.p.A. aveva gia’ cambiato nome in “I.N.C.A. Investimenti”, nel 1983 venne presentata l’Alfa Romeo 33 destinata a sostituire definitivamente l’Alfasud berlina nel 1984.

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