QUARANTACINQUE ANNI FA CI LASCIAVA JOCHEN RINDT

mutti-cartoonGabriele Mutti

Monza, 5 settembre 1970. Sono passate da poco le 15. Jochen Rindt sta inanellando alcuni giri sulla velocissima pista brianzola dove domani si correrà il GP d’Italia. La sua Lotus è priva di alettoni: così ha deciso il patron Colin Chapman facendoli togliere poco prima anche alla macchina di John Miles. I meccanici hanno lavorato sodo prima di Monza e sono arrivati al circuito visibilmente stanchi: hanno dovuto approntare in fretta e furia una terza 72 per Emerson Fittipaldi. Miles è preoccupato, dice che senza appendici aerodinamiche la 72 in frenata stressa oltremisura l’impianto frenante. Ma Chapman non demorde: niente alettoni, dice, qui serve la velocità. Rindt fa quattro giri, al quinto alla Ascari – non c’è ancora la chicane – affianca e supera la McLaren arancione di Denny Hulme e si lancia verso la parabolica. In un attimo il dramma: in frenata la Lotus punta verso sinistra, urta il guardrail, centra con la ruota anteriore sinistra una buca dietro il guardrail, l’auto fa perno, piroetta su se stessa più volte senza capovolgersi nella sabbia della parabolica e si ferma in una nuvola che è un drammatico presagio della tragedia incombente. Subito accorrono commissari, infermieri, Jochen è riverso, sdraiato, nell’abitacolo, tutta la parte anteriore della 72 non c’è più. Le cinture hanno ceduto nella violentissima decelerazione, il suo casco integrale è sporco di sangue. Lo caricano su una barella, lo ricoprono pietosamente con una coperta, ma si capisce subito che non c’è più nulla da fare.

Jochen è già volato in cielo. Ai box è il dramma: Stewart si avvicina a Nina Rindt e le mormora: “Jochen ha avuto un incidente ma sta bene”. Una pietosa bugia o una notizia frammentaria ancora da verificare? Non lo sapremo mai.

Rindt era nato a Magonza in Austria il 18 aprile del 1942. I suoi genitori vennero uccisi durante un bombardamento aereo due anni dopo e venne adottato da nonni residenti a Graz in Austria. Sviluppò fin dalla tenera età una gran passione per l’automobilismo e, nel 1961 decise di vendere l’azienda lasciatagli dal padre in eredità per cominciare a gareggiare, comprando una Simca con cui poter correre nei rally, poi in seguito nel campionato turismo con un’Alfa Romeo Giulietta TI.

Il suo debutto in monoposto avvenne nel 1963 in Formula Junior, mentre nel 1964 passò alla Formula 2, categoria che lo vide protagonista assoluto fino al tragico epilogo della sua carriera. Raccolse in questa categoria un numero impressionante di pole e vittorie (circa 45 in 6 anni), misurandosi sempre con piloti come Jim Clark e Graham Hill. Nel 1964 debuttò anche in Formula 1 al GP d’Austria con una Brabham. Dal 1965 corse stabilmente nella massima formula gareggiando per i team ufficiali di Cooper, Brabham e Lotus. Il 1970 era iniziato con i migliori auspici: dopo una rocambolesca vittoria a Montecarlo con la vecchia 49, aveva sviluppato in modo egregio la 72 con cui si era imposto nei GP di Olanda, Francia, Inghilterra e Germania. Fortunato in alcune occasioni, ebbe a dire: “Spero di non doverla pagare prima o poi tutta questa fortuna”.

Quando si presenta alle prove di Monza, Rindt è in testa al campionato del mondo con 45 punti ed è il grande favorito per la conquista del titolo. La tragedia del sabato sconvolge il paddock ed è appena mitigata dalla bella vittoria di Regazzoni su Ferrari il giorno dopo. Ma è l’altro ferrarista, il belga Jacky Ickx, l’unico a poter insidiare Rindt nella conquista per il titolo, con alcune belle vittorie. Non ce la farà per pochi punti e alla fine l’austriaco verrà incoronato campione del mondo alla memoria, l’unico caso fino ad ora nella storia della Formula 1. E alla premiazione nella sede della FIA a Parigi sua figlia Natasha sentendo il nome di suo padre commuoverà tutti i presenti tendendo le manine e gridando “Papà, papà…”.

Nella foto accanto al titolo nella home page, Jochen Rindt accanto alla sua 72 insieme a Colin Chapman.

https://it.wikipedia.org/wiki/Jochen_Rindt/

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