TRENTASETTE ANNI FA L’ADDIO A RONNIE PETERSON

Monza, 10 settembre 1978. Le monoposto sono schierate per il GP d’Italia. Durante il warm-up Ronnie Peterson aveva danneggiato la sua Lotus 79, rendendola inutilizzabile per la gara. Per partecipare allora gli venne affidato nuovamente il muletto, come già nelle qualifiche, una Lotus 78, sulla quale venne montato il motore della vettura incidentata. C’era anche il muletto di una 79, che però era riservato ad Andretti. Chapman, il patron della Lotus, tentò di giocare sporco, offrendogli la 79T (trailer=muletto) di Andretti a patto che Ronnie firmasse per la stagione successiva. Ma Peterson, che aveva già firmato per la McLaren come prima guida, tenne fede alla parola data a Teddy Mayer, boss del team biancorosso, e rifiutò: non voleva fare lo scudiero di Andretti nella stagione successiva. Al termine del giro di ricognizione lo svedese rientrò ai box con la sua 78 per alcuni inconvenienti all’alimentazione ma venne comunque rimandato in pista poco dopo.

Il via della gara venne dato con le vetture in fondo allo schieramento non ancora del tutto ferme sugli stalli di partenza. Alla variante Goodyear, arrivò per primo Villeneuve (Ferrari) seguito da Lauda (Brabham-Alfa) e Andretti (Lotus), leader del mondiale.

Subito dietro s’innescò un incidente che coinvolse dieci piloti: Peterson, Hunt (McLaren), Daly, Pironi, Stuck, Vittorio Brambilla, Regazzoni, Depailler, Lunger e Reutemann. Peterson, partito male, forse perché il motore nell’incidente della mattina aveva imbarcato sabbia, rimase intruppato fra diverse vetture, con gli ultimi dello schieramento partiti praticamente lanciati. All’altezza della chicane Hunt e Peterson, affiancati in quel momento, vennero a contatto: la Lotus dello svedese sbandò e andò a urtare il guardrail posto all’imbocco del vecchio anello ad alta velocità. La vettura, con l’avantreno disintegrato, prese fuoco, fermandosi in mezzo la pista.

Il caos in pista fu notevole, tanto da rallentare anche l’arrivo dei soccorsi. Peterson aveva delle fratture agli arti inferiori ma era ancora cosciente, e venne estratto a fatica da ciò che restava della sua vettura da alcuni suoi colleghi, come Hunt e Regazzoni, oltre che dai volontari della CEA, i quali spensero prontamente le fiamme (dopo questo avvenimento, essi saranno soprannominati “i Leoni della CEA” per denotare il coraggio e la tenacia nei soccorsi).

Brambilla, colpito al capo da uno pneumatico perso da qualche vettura, venne trasportato all’ospedale privo di coscienza in condizioni critiche (rimarrà in coma alcuni giorni) mentre un altro pilota, Stuck, rimase anch’egli colpito da una ruota impazzita, ma senza gravi conseguenze.

Peterson fu estratto dalla vettura incidentata ancora vivo e cosciente, ma con sette fratture alla gamba sinistra e quattro alla gamba destra. Venne trasportato all’ospedale di Niguarda e ricoverato nel reparto di terapia intensiva. Fu poi sottoposto ad un intervento per ricostruirgli gli arti inferiori durato più di sei ore, ma la mattina seguente fu colpito da embolia lipidica che ne causò il decesso. Non è stato mai chiarito se fu proprio l’embolia a causare la morte o l’imperizia dei medici nell’eliminarla (si disse che, nel tentativo di asportarla, causarono una gravissima emorragia che avrebbe condotto alle fatali complicazioni).

 Per molto tempo Riccardo Patrese fu ritenuto responsabile dell’episodio, ma alcuni anni dopo venne scagionato: un’attenta indagine dimostrò infatti che, per un errore della direzione gara, il “via” era stato dato troppo presto, quando le vetture nelle ultime file non si erano ancora allineate, generando un imbottigliamento alla prima curva, dove uno scarto improvviso della McLaren di James Hunt (che si ritrovò chiuso tra Patrese e lo svedese) causò la carambola fatale.

Peterson cominciò a correre giovanissimo sui kart, passando poi alla Formula 3, ottenendo eccellenti risultati e attirando le attenzioni della Tecno. L’azienda italiana lo mise sotto contratto nel 1968 e Peterson vinse il titolo, ripetendo il successo anche l’anno seguente.

Dopo aver corso nel 1970 in Formula 1 con una March privata, lo svedese partecipò contemporaneamente al campionato di Formula 2, in cui vinse il titolo.

Rimasto nella scuderia britannica anche nei due anni successivi, giunse secondo nel 1971, grazie ad una serie di podi. Nel 1972 non andò oltre un terzo posto in Germania e fu nono in classifica piloti. Nel 1973 si trasferì alla Lotus, dove conquistò 9 pole position e quattro Gran Premi, spesso risultando più veloce del suo compagno di squadra, il campione del mondo in carica Emerson Fittipaldi.

Nel 1974, pur con una Lotus in difficoltà a causa del fallimento del modello 76, Peterson riuscì a vincere altri 3 Gran Premi (Monaco, Francia e Italia) con il vecchio modello 72.

L’anno successivo le difficoltà economiche della Lotus (che schierava per il sesto anno consecutivo l’ormai sorpassato modello 72) non consentirono a Peterson alcun risultato di rilievo. Questo e altri motivi, tra cui il mancato pagamento di parte del compenso, indussero Peterson a ritornare alla March nel 1976, ma riuscì ad aggiudicarsi solo il GP d’Italia a Monza. Passò per due anni alla Tyrrell dove ottenne scarsi risultati. Nel GP del Giappone del 1977 tra l’altro venne tamponato da Villeneuve, la cui Ferrari  uscì di pista e uccise due spettatori che si trovavano in una zona vietata al pubblico.

Tornato alla Lotus, nel corso della fatale stagione 1978, il talento di Ronnie Peterson venne imbrigliato da un contratto ‘capestro’ che lo costrinse al ruolo di seconda guida. Il rapporto con il patron della Lotus, Colin Chapman, andò così via via peggiorando fino a portare lo svedese a sottoscrivere un contratto con la McLaren per la stagione successiva. Poi, a Monza…

Ronnie Peterson (nella foto nella home page accanto al titolo in gara nel 1976 con la March) è sepolto nel cimitero di Orebro, in Svezia.

https://it.wikipedia.org/wiki/Ronnie_Peterson/

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